L’ultimo “scandalo dell’olio” obbliga a qualche riflessione. Se le accuse saranno provate, sette fra i principali marchi italiani avrebbero messo in vendita finora un olio che extravergine non era, quindi meno costoso nel processo di produzione e di qualità inferiore. Sono marchi ben noti ai consumatori italiani, che li trovano nei supermercati della grande distribuzione a prezzi molto più bassi di quelli praticati dai piccoli produttori locali, che il più delle volte non riescono nemmeno a raggiungere quegli scaffali.
Quindi, al di là delle conclusioni dell’inchiesta, la domanda che ci si dovrebbe porre è: possibile che un prodotto di qualità costi così poco?
Per poter rispondere, bisogna intanto sapere di cosa stiamo parlando.
Cos’è esattamente l’olio “extravergine”? Significa che l’olio deve essere estratto unicamente dalla spremitura meccanica delle olive e deve avere un’acidità inferiore o uguale allo 0,8 per cento. Se invece il livello di acidità è sopra lo 0,8 per cento e fino al 2 per cento, l’olio di oliva è “vergine”, meno costoso perché di qualità inferiore. L’olio di oliva “raffinato” C’è poi l’olio di oliva “lampante”, con acidità superiore al 2 per cento e non utilizzabile per gli usi alimentari. Le leggi consentono però di “rettificare” e raffinare questi oli, per poi mescolarli con olio vergine: si ottiene così quello che in etichetta dovrebbe essere chiamato semplicemente “olio di oliva”, con acidità inferiore all’1 per cento ma una proporzione di cere fino a 350 mg per chilogrammo, mentre nell’extra-vergine non si possono superare i 250 mg.
Per l’olio extra-vergine, in Italia esistono ben 41 denominazioni DOP e un’IGP riconosciute dall’Unione europea. In questi casi, e solo in questi, è obbligatorio indicare il luogo di produzione.
Fra i marchi coinvolti nell’inchiesta, Carapelli, Bertolli e Sasso appartengono alla spagnola Deoleo S.A., con sede a Madrid e 24 stabilimenti in giro per il mondo. È il secondo gruppo alimentare per fatturato annuo della Spagna e nel 2009 ha prodotto ricavi per 1,5 miliardi di euro. Un altro marchio coinvolto, Primadonna, è prodotto per conto di Lidl, la catena tedesca di supermercati presente in 26 Paesi del mondo.
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